CONVEGNO DEI COMUNISTI ANARCHICI E DEI LIBERTARI NELLA CGIL
Livorno – D.L.F. (Dopolavoro Ferroviario) - 2 Aprile 2011
Il Convegno odierno, che vede riuniti rappresentanti dei comunisti anarchici e libertari che svolgono la loro attività sindacale in CGIL, si tiene in un momento particolarmente delicato per la situazione esterna -ma anche interna- alla confederazione e quindi anche per il nostro ruolo e la nostra azione.
I motivi che ci hanno spinto alla convocazione di questo incontro, in accordo con i compagni/e attivi in CGIL che al momento conosciamo, sono soprattutto legati alla necessità di un confronto e di una analisi del nostro agire sul terreno sindacale per arricchire reciprocamente la nostra capacità di intervento e possibilmente per coordinarci nel futuro.
L'azione degli anarchici in CGIL, e prima ancora nella CGdL con dirigenti di spicco come i compagni Maurizio Garino e Pietro Ferrero (quest'ultimo Segretario della FIOM di Torino durante l'occupazione delle fabbriche nel 1920 ed ucciso in seguito dai fascisti), è sempre stata presente ed ha rivestito una notevole importanza. Come rilevante è stata l’attività dei Comitati di Difesa Sindacale, che furono costituiti nel secondo dopoguerra dagli anarchici operanti in CGIL e che restarono attivi fino alla fine degli anni '50, che pur agendo in un diverso contesto storico da quello attuale costituiscono per noi un punto di riferimento importante; magari questo nostro incontro potrebbe rappresentare l'occasione affinchè vi sia un impulso allo studio ed all'approfondimento di questa esperienza.
Dopo l'esaurirsi dei Comitati di Difesa Sindacale l'azione degli anarchici in CGIL, in seguito alle scelte del movimento anarchico che si caratterizzò sempre più come movimento di opinione dando spazio a posizioni interclassiste e liberali, divenne soprattutto quella di sindacalisti e di lavoratori che agivano isolatamente e senza una qualche forma stabile di collegamento. L'azione sferzante e vivificatrice prodotta dal ciclo di lotte a cavallo tra gli anni sessanta/settanta, ed il conseguente afflusso nel movimento anarchico di giovani lavoratori, portò un fermento ed un rinnovato interesse verso la necessità di un intervento su posizioni di classe all'interno del mondo del lavoro.
L'esperienza del CNLA (Convegno Nazionale Lavoratori Anarchici), dal 1973 al 1976, ne fu la concretizzazione più evidente anche se travagliata e minata fin dall'inizio da contraddizioni e da una mancanza di chiarezza sui veri obiettivi da perseguire (organizzazione politica o di massa ? Azione nei Consigli di fabbrica o creazione di organismi “autonomi” ?), restando poi travolta dalla fase di riflusso di un ciclo di lotte che si stava chiudendo.
Successivamente, durante le scadenze congressuali, si pose la necessità di un confronto specifico degli anarchici; ricordiamo quello per il X° congresso della CGIL, che vide una partecipata assemblea nazionale tenutasi a Modena il 1° Novembre 1981, oltre alle iniziative che furono promosse nel 1986 in occasione dell’XI° Congresso e nel 1991 per il XII°. E' vero che questi confronti non ebbero un seguito, ma ciò dipese più da preesistenti divisioni politiche tra i vari soggetti e gruppi partecipanti che alla mancanza della necessità di un coordinamento.
Non ci nascondiamo quindi le difficoltà dell'odierno incontro ma pensiamo che, restando sul terreno sindacale, sia possibile trovare la strada per proseguire in questa iniziativa. Quello che pensiamo sia da evitare è di riprodurre tra noi le divisioni presenti in CGIL; questo non solo perchè rischieremmo di bloccare sul nascere questo tentativo di confronto e di coordinamento, ma anche perchè molte delle divisioni che stanno dietro a queste posizioni risentono, o sono frutto, di scontri politici che non ci appartengono.
La nostra scelta sindacale deriva dalla considerazione che una coerente articolazione tattica della teoria e della strategia comunista anarchica non possa che essere condotta, tanto più oggi, nelle centrali sindacali riformiste di cui la CGIL rappresenta in Italia l'organizzazione più completa, complessa e rappresentativa, anche se non ci sfugge la necessità e l'importanza di interloquire sul territorio con situazioni di base ed esterne a questa esperienza quando esprimano una reale rappresentanza tra i lavoratori. Questa scelta affonda le radici nell'esigenza di giungere ad impostare un processo reale di unità di classe dei lavoratori prima ancora di porre il problema della loro radicalizzazione, nella consapevolezza del sindacato come un'organizzazione naturalmente riformista – come avevano ben individuato già agli inizi del Novecento sia Malatesta che, ancor più, Luigi Fabbri - che deve vedere al suo interno la necessaria azione dell'organizzazione politica dei comunisti anarchici. Diventa allora importante, pur continuando a portare il nostro contributo nelle aree programmatiche della sinistra sindacale, collegarsi e rendere più efficace la nostra attività; coordinandosi i compagni comunisti anarchici e libertari attivi nella CGIL non aspirano a realizzare una nuova area programmatica né a creare una componente politica né – tanto meno - l'ottenimento di posizioni e di quote interne, ma a rafforzare la loro azione per la ricomposizione di un’opposizione di classe in CGIL per difendere gli interessi dei lavoratori e delle classi subalterne.
La difficoltà di circolazione delle nostre idee si è evidenziata in occasione del XVI° congresso della CGIL laddove la limitata, ma non irrilevante, presenza di compagni non ha avuto la capacità di coordinarsi e di incidere come invece sarebbe stato necessario. Tutto questo, a maggior ragione, vista la situazione di straordinaria difficoltà in cui si trova ad operare oggi il sindacato.
Anche in Italia la crisi si è manifestata infatti con tutti i suoi effetti devastanti, aggravati dall’azione del governo Berlusconi particolarmente impegnato a demolire storiche conquiste sindacali. In un simile contesto la CGIL ha saputo intraprendere un percorso di opposizione che si è evoluto da una totale subalternità ai governi di centro sinistra ad una rivisitazione critica, con una crescente mobilitazione che ha prodotto una messa in discussione delle precedenti politiche concertative ed una progressiva rottura con le derive neocorporative di CISL e UIL. Una rottura caratterizzata anche da contraddizioni e lacerazioni interne, non scevre da implicazioni decisamente subordinate alla logica politica (vedi il ”Protocollo su previdenza, lavoro e competitivita' per l'equità e la crescita sostenibili” del 23 luglio 2007, firmato anche dalla CGIL).
Resta il fatto che l'attuale situazione che vede il moltiplicarsi di accordi separati, frutto sostanzialmente di quello sulla contrattazione del gennaio 2009 firmato da CISL ed UIL, sta producendo gravi e crescenti difficoltà politiche ed economiche a tutta la CGIL. Accanto a quelli della Fiat ed al CCNL dei metalmeccanici si sono infatti ripetuti negli ultimi tempi accordi tra le parti, senza la firma della CGIL, anche nei settori del commercio e della funzione pubblica dove tra l'altro la capacità di mobilitazione della confederazione è storicamente minore. Ci sembra quindi necessaria non solo una grande riuscita dello sciopero generale del prossimo 6 maggio, ma che la confederazione elabori una precisa strategia di lotta che impedisca questa marginalizzazione, lasciando perdere le attuali ed inconcludenti campagne rivolte a CISL ed UIL che, in accordo con Governo e Confindustria, cercano solo di logorare la CGIL.
Il contesto in cui agiamo, nonostante le potenzialità e le capacità di lotta ancora esistenti nella classe lavoratrice, è sempre più sfavorevole ed a dimostrarlo ci sono, oltre alla crisi che falcidia salari ed occupazione, anche altri fattori. Permettetemi una breve riflessione su due avvenimenti, non sindacali, accaduti in quest'ultimo mese. Il primo è legato al 150° anniversario dell'unità d'Italia che ha rappresentato, anche visivamente, il grado di penetrazione tra il proletariato del concetto di patria e di nazione; concetti non più appannaggio della destra fascista, come un tempo, ma rivisitati ed esaltati in chiave democratica e liberale. La stessa sinistra, forse per una rivalsa nei confronti del leghismo, ha sventolato entusiasticamente il tricolore. Non è, questa, solo una questione di simboli; quando si abbraccia il nazionalismo, benchè “democratico”, e si smarrisce la bussola internazionalista, non si sa dove si va a finire. Ed infatti, apparentemente slegato da questo, ecco il secondo avvenimento costituito dai bombardamenti e dalla guerra in Libia; al momento sostanzialmente accettata, quando addirittura sostenuta perchè “umanitaria” e “democratica”, anche da alcuni settori e personalità che si richiamano alla sinistra ed al pacifismo.
Un contesto, dicevamo, sempre più difficile. La situazione di crisi capitalistica e lo sviluppo delle sue conseguenze che si concretizzano in un complessivo attacco economico, politico e culturale alle classi subalterne, alle conquiste fino ad oggi faticosamente raggiunte, al concetto stesso di sindacato, avrebbe dovuto suggerire alla CGIL l'elaborazione di un programma per la difesa degli interessi di classe. Ma non è stata questa la tensione che ha prevalso: i gruppi dirigenti centrali e periferici hanno anteposto la loro condizione d’essere ed il loro ruolo limitato di burocrazie alle dinamiche della lotta di classe. I due documenti congressuali, assieme all’aspro confronto che ne è derivato, rappresentano le conseguenze di una più generale situazione di crisi del riformismo che questo congresso non poteva risolvere e che, anzi, è destinata ad aggravarsi.
Circa l'ultimo Congresso della CGIL sappiamo che le compagne/i qui presenti hanno fatto scelte diverse, per varie considerazioni, rispetto ai due documenti congressuali: documenti che riteniamo entrambi limitati, tra loro similari ed in parte sovrapponibili, riconducibili alla debolezza dei gruppi dirigenti riformisti ed alle loro schermaglie di derivazione parlamentarista. La scomposizione e ricomposizione nei gruppi dirigenti, avvenuta prima e durante il Congresso, è stata notevole ed ha visto l'allargamento della precedente maggioranza moderata con l'inclusione di “Lavoro Società”, mentre la maggioranza della Fiom e buona parte dei settori - anche moderati - che avevano sostenuto il documento congressuale “La Cgil che vogliamo” si sono costituiti a loro volta in area programmatica. Abbiamo già detto che questi schieramenti congressuali hanno coinvolto, inevitabilmente, le nostre compagne ed i nostri compagni; non si tratta qui di decidere se e dove collocarci ma, riconoscendo i limiti della situazione interna alla CGIL e quelli delle tesi congressuali, cercare di definire una linea tesa al superamento delle attuali divisioni nella sinistra sindacale operando quindi per una ricomposizione dell'opposizione di classe in CGIL.
Per questo pensiamo che oggi sia necessario andare ad approfondire le varie questioni legate alla rappresentatività ed alla democrazia nei posti di lavoro, alla contrattazione, al precariato, all'egualitarismo, alla situazione degli immigrati. Crediamo che questa possa essere la strada giusta da percorrere; il convegno deciderà poi come continuare il confronto e come coordinarci per andare ad incidere maggiormente nelle nostre realtà.
Mario Salvadori
Livorno, 2 aprile 2011
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